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Channel: olio di palma – Earth Riot
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WWF Army

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Le riserve naturali vengono comunemente identificare come zone protette.
Aree delimitate, appositamente create per favorire la salvaguardia di specie vegetali e animali.
Ma protette da chi?
Luoghi tutt’altro che liberi, la cui tutela spesso è affidata ad enti governativi, in numerosi casi finiscono per diventare zone franche, parchi protetti per le multinazionali e non da esse.
Grazie alla collaborazione delle lobby dell’attivismo mascherate da associazioni ambientaliste, riserve naturali e parchi nazionali diventano terreno fertile per chi specula sull’integrità della Terra a discapito di chi la popola.
A distanza di 3 anni il WWF torna nell’occhio del ciclone in relazione alle violenze periodicamente subite dai Baka, popolo indigeno del Camerun.
In una relazione di 228 pagine, Survival International riporta le violazioni commesse ai danni della tribù.
Il report contiene testimonianze oculari della presunta brutalità, testimonianze video e rapporti della stampa locale che accusano le guardie ecologiche di aver commesso azioni violente contro i gruppi indigeni.
Le guardie anti-bracconaggio sotto accusa godono del sostegno finanziario del WWF che, inoltre, fornisce loro le armi e i veicoli impiegati per gli spostamenti, i quali molto spesso sono guidati da personale appartenente alla nota associazione ambientalista.
Le violenze subite dalla tribù Baka, rea di praticare la caccia per ragioni di sostentamento, vanno dalle intimidazioni a casi di persecuzione compiuti a colpi di macece e armi da fuoco, il tutto finalizzato ad agevolare i safari.
Un business caro al WWF, che già in passato ha visto l’associazione fare cassa sfruttando l’ambiente.
Il caso più eclatante, come riporta il documentario Il patto del Panda, è quello dell’India, dove il WWF per lungo tempo ha organizzato safari turistici alla modica cifra di 10.000 dollari, sfruttando ambiente e animali a vantaggio dei propri interessi economici.
Ritorni economici che ora la vedono al centro della persecuzione di un’intero popolo, invece che impegnata nel contrastare le opere di land grabbing, come per natura ci si dovrebbe aspettare da parte di associazioni di questo tipo.
Ma di naturale il WWF ha solo lo stretto rapporto di complicità con le multinazionali, che in questi anni l’hanno vista più volte prodigarsi in pirotecnici processi di greenwashing volti a giustificare deforestazioni e casi di inquinamento.
L’emblema di questa alleanza capitalista è sicuramente rappresentato da l’RSPO (tavola rotonda per l’auto certificazione dell’olio di palma sostenibile) organo di facciata fondato nel 2004 insieme ad aziende del calibro di Aak, Migros, MPOA (Malesyan Palm Oil Association) e Unilever, alle quali un anno dopo si sono aggiunte Cargill e Wilmar (quest’ultima colpevole di numerosi incendi appiccati nelle foreste del Borneo).
D’altronde, già nel 1997 il WWF fece una triste figura, nominando Shell al premio ambiente nonostante 2 anni prima il colosso petrolifero si fosse macchiato dell’assassinio del poeta Ken-Saro Wiwa, e di altri otto attivisti della tribù Ogoni, impegnati a resistere contro la colonizzazione e l’inquinamento del Delta del Niger.ogoni
Il 10 novembre del 1995, in una prigione di Port Harcourt (Nigeria), Ken-Saro Wiwa viene impiccato assieme ad 8 attivist* del MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People), arrestat* solo un anno prima per essersi opposti all’opera neo-colonizzatrice condotta da Shell ed Eni.
Nonostante la repressione del popolo Ogoni e un disastro ambientale i cui effetti peseranno sulla Terra per i prossimi decenni contribuendo al fenomeno del cambiamento climatico, nulla di tutto questo impedì al WWF di rinnovare il proprio sostegno verso multinazionali e sistema capitalista.
Premio rilasciato mentre nelle carceri nigeriane 19 attivist* della tribù subivano torture per aver organizzato proteste contro le azioni condotte da Shell.

PP

Fonte: the guardian


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